Torna a parlare il mister che in passato è stato sulla panchina del Diavolo. Per lui uno Scudetto che nessuno dimenticherà mai
“Sono stato fortunato, nella vita. Sono vivo per miracolo. L’anno scorso sono caduto in casa, dalle scale. Non ricordo com’è successo, forse avevo in braccio la cagnetta di mio figlio Luca e ho perso l’equilibro”.
“Mia moglie Fulvia mi ha trovato in un lago di sangue – prosegue l’ex allenatore del Milan -. Ho picchiato la testa, emorragia, sono stato in ospedale tre mesi, settimane in coma. Mi hanno operato, ho fatto la riabilitazione. Adesso sto bene, giro in bici, faccio sport, guido la macchina e viaggio”.
Alberto Zaccheroni parla così a Sportweek. L’ex tecnico del Diavolo ha raccontato la sua esperienza, che inevitabilmente gli ha cambiato la vita: “Ho 71 anni e faccio il pensionato, mi godo la famiglia. Sì, ho fatto molte cose e ho un po’ di dolce nostalgia del passato. Non ho giocato molto, ma ho allenato le squadre più belle e più grandi”.
Zaccheroni si racconta: “Vi svelo il giocatore che mi è rimasto nel cuore”

Inevitabile un tuffo nel passato per Alberto Zaccheroni che il mondo rossonero ricorderà per lo Scudetto conquistato il 23 maggio 1999. Uno Scudetto indimenticabile, arrivato un po’ a sorpresa, avendo la meglio di una Lazio, che a detta di tutti, era la squadra più forte.
Zaccheroni nella sua lunga carriera ha allenato diverse squadre, avendo così a che fare con tanti calciatori: “Oliver Bierhoff era il mio pupillo? No. Io non avevo pupilli. Il rapporto con i giocatori era professionale. Evitavo di frequentarli fuori dal campo. Ho sempre preteso da loro la massima disponibilità, il mio obiettivo era metterli nelle condizioni di rendere al massimo. Ho avuti grandi campioni: Bierhoff a Udine, Shevchenko al Milan, Mihajlovic alla Lazio, Adriano all’Inter, Del Piero alla Juve“.
Ma alla fine viene fuori il nome del giocatore preferito: “Se proprio devo dire un nome che mi è rimasto nel cuore lo faccio: Dejan Stankovic. Per me era come un figlio, un ragazzo generosissimo. Quando sono arrivato alla Lazio non giocava e mi ha detto: “Io sono qui, se ha bisogno di un portiere faccio anche quello. L’ho liberato dai vincoli tattici, doveva sprigionare la sua energia e la sua qualità. Per lui ho fatto uno strappo, una cosa unica nella mia carriera. In Giappone ho chiuso il mio viaggio nel calcio“.